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Nella crisi un solo consiglio: preferire liquidità e sicurezza»

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Questa mia lettera vuole essere soltanto una esternazione di un mio pensiero (alla luce di quanto sto leggendo e ascoltando in questi giorni) e niente di più. Ho letto la copertina di «Plus24» di sabato 4 ottobre e credo da "addetto ai lavori" che, in questo particolare momento che stiamo vivendo in ambito finanziario con la pesante e perdurante (temo per molto tempo ancora) crisi del settore creditizio, la scelta più prudente oltre che eticamente più corretta sia quella di consigliare ai risparmiatori oggi (qualunque sia il loro profilo di rischio) di propendere, per l'impiego della loro liquidità, per strumenti finanziari trasparenti e facilmente liquidabili (oltre che poco onerosi in termini di commissioni) come i titoli di Stato, magari indicizzati all'inflazione, o dei bond corporate a tasso variabile (legato all'Euribor) con scadenza breve e con una emissione molto liquida (a titolo puramente esemplificativo Enel Frn 2014).
Questo credo sia il modo più corretto e trasparente di fare consulenza finanziaria, quindi non consigliando prodotti costruiti ad hoc per questo frangente (come lo furono nel 2002/2003 le gestioni a capitale protetto che ebbero un rendimento inferiore al CTz dell'epoca).  CONTINUA ...»

D.V. (via e-mail)

Cosa dovrebbero dire i professionisti della finanza come i promotori finanziari, i private banker, i gestori di patrimoni e i consulenti bancari ai risparmiatori? Quello che è effettivamente meglio per gli interessi di questi ultimi o semplicemente quello che gli investitori vogliono sentirsi raccontare? Le due cose sono solo in parte sovrapposte: in una fase critica come quella attuale, il consiglio di preferire strumenti molto liquidi e sicuri garantisce una popolarità immediata. Così come assicurava un facile consenso lo spingere i risparmiatori a investire in azioni nel marzo 2000, ai massimi preesplosione della bolla hi-tech. Il consiglio di privilegiare titoli liquidi e sicuri è valido per moltissimi risparmiatori, ma – questo è il vero punto – indipendentemente dalla situazione dei mercati. Stiamo parlando di quelle famiglie, probabilmente la maggior parte, che non hanno i requisiti (età, reddito, patrimonio, preparazione, tolleranza alle perdite, orizzonte temporale) per investire in attività rischiose.
Ci sono però altri investitori privati che hanno (e avevano) i requisiti per investire in strumenti diversi da quelli completamente liquidi e sicuri. Se sono stati assistiti da professionisti competenti non hanno fatto male a investire una quota del loro portafoglio in attività rischiose. Ora quelle attività sono in forte perdita, e le prospettive dei mercati di riferimento sono incerte (ma quando mai sono state certe?): questo sarebbe sufficiente secondo lei a spingerli a modificare legittimamente le loro scelte e a rifugiarsi totalmente nella liquidità? Direi di no. Un bravo professionista dovrebbe a mio avviso argomentare la congruenza dei consigli dati a suo tempo, e quindi consigliare il mantenimento della ripartizione strategica del portafoglio. È chiaro che non tutti i professionisti sono capaci e insensibili ai conflitti di interessi e pertanto questa congruenza risulterebbe in questi casi assai difficile da dimostrare. Inoltre, può accadere che il cliente si ricreda rispetto a quanto concordato in precedenza con il proprio consulente, e in corrispondenza del crollo dei mercati diventi assai intollerante alle perdite.
In queste due fattispecie (professionista che non aveva consigliato correttamente e/o cliente che ha cambiato idea su se stesso) sta l'ampia area critica nella quale la scelta tardiva della liquidità e della sicurezza per l'intero portafoglio potrebbe essere il minore dei mali. Questo, soprattutto allo scopo di evitare ulteriori perdite, che nessuno con certezza può negare possano ancora verificarsi. Vendere in perdita non è un tabù, se questo consente di evitare ulteriori erosioni della ricchezza che il cliente non può tollerare, neppure nella prospettiva di ottenere rendimenti interessanti nel famoso "lungo periodo". A condizione però di non lamentarsi per l'occasione perduta quando il Toro tornerà a farsi vedere sul mercato.
In sostanza, sarebbe opportuno che l'opzione del portafoglio totalmente liquido e rischioso (come risultato della trasformazione di un portafoglio contenente attività rischiose) venisse esercitata in presenza di gravi carenze nella consulenza a favore del cliente e/o di cambiamenti nelle attitudini dei risparmiatori. In tutti gli altri casi, a prescindere dall'efficienza dei titoli in portafoglio, il peso delle varie classi di attivo dovrebbe essere mantenuto.

Fineco: ecco come funziona il «Portafoglio remunerato»
Sono un cliente di FinecoBank che mi offre tutti i servizi che mi servono tramite un conto corrente online e un dossier titoli che posso gestire autonomamente o tramite un promotore finanziario. Il 25 luglio 2008 questo promotore mi ha telefonato per propormi di aderire al «Servizio portafoglio remunerato» (servizio già pubblicizzato abbastanza ampiamente sul sito della banca). La proposta mi potrebbe interessare, ma, (a causa di esperienze negative sofferte nel rapporto con altra banca), temo che l'operazione non sia "a rischio zero" come viene pubblicizzato. I rendimenti indicati (fino al 4% per i titoli azionari e 0,20% per i titoli di Stato) indicano un massimo; e non hanno un minimo? «I rendimenti possono essere soggetti a variazioni»; seguendo quali criteri? Se la banca dovesse fallire nel momento in cui detiene i miei titoli (azioni e obbligazioni) in prestito, potrei subire dei danni economici?

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